Non era un marinaio. Nemmeno un esploratore o un avventuriero. Non era un viaggiatore di professione. Era soltanto un uomo che aveva compreso il linguaggio segreto del mare. Il richiamo alla libertà sconfinata; il rimescolamento di colori sulla pagina azzurra d’acqua di onde infinite. E la voce possente, a volte sommessa, a volte irata della sua sconfinata grandezza. Fino a mete lontane, lì sulla linea di remoti orizzonti incurvati dal peso del cielo. Era un Maestro. Amico ( per un breve periodo, ché entrambi avevano un carattere impossibile) di Vincent van Gogh. Era un Maestro che aveva assorbito la tentazione di libertà assoluta del mare. Era Paul Gauguin. Grande come Vincent ma diversissimo da lui. Maestro di linguaggi futuri. Solo che la scuola che Vincent aveva pensato potesse sorgere in Provenza, per formare giovani artisti, non nascerà ad Arles, ma nacque dall’eredità che l’uno e l’altro lasciarono alle generazioni successive. Povero, curioso, ricco di colori stesi in campiture piatte ed ampie, fuggì dalla civiltà parigina (quindi anche dal possibile successo) per andare a respirare arte e libertà nelle sperdute isole dei mari del Sud diventando la leggenda di sé stesso. Era Paul Gauguin. Durante il secondo soggiorno a Tahiti un farmacista gli commissionò un quadro, che poi rifiutò: il cavallo in primo piano era troppo verde e la scena troppo irrealistica. Il verde del fogliame si riflette sul cavallo che si abbevera, tingendolo del colore della foresta. Tutta la scena, cui manca volutamente ogni riferimento reale, come manca il cielo, è vista come in un sogno. E’ una realtà naturale, incontaminata, pura, ricca d’ombre e di odori. Con quel magico uso del colore che solo chi si sia smarrito guardando le onde d’un mare può capire. Ma non certo un farmacista di Tahiti. (Cavallo bianco, (1898) Museo d’Orsay, Parigi.)
Il volume SINESTESIE SICILIANE di Elio Tocco apre una finestra sulla bellezza, l’arte, la sicilianità tipica dell’autore.